29 marzo. Sciopero generale in tutta Spagna

Lo vedo da Castellón de la Plana, città che Wikipedia italiana liquida con 3 date nel XIII secolo. Non è Madrid, non è Barcellona, non è Bilbao, non è neppure Valencia, ma picchetti, sciopero e manifestazione-sfilata si fanno anche qui, come ovunque. È già tardi per la manifestazione, la fanno ora che ha toccato i posti di potere dei sindacati. «En Murcia tiran molotov. En las ciudades más grandes la policía carga – la voce alta e il tono concitato rompono il flow di Radio Malva, impegnata nel 24 ore militant di copertura della huelga, insieme alle altre radio libere spagnole; loro raccontano insistentemente, lei insiste di più, raccontando – Coño, cien por cien de huelga de transporte en Euskadi – i baschi non perdonano – y más del 90 por ciento en las grandes ciudades.» Non lasciando spazio alla radio, con una mescola di italiano, francese, spagnolo e catalano, le sue labbra scandiscono informazioni. Moltissime fabbriche, imprese e negozi sono fermi, persino alcuni centri commerciali enormi come i Corte Ingles, dove è difficilissimo rubare persino un kit di riparazione per le camere d’aria della bici. Anche i chino sono chiusi e molti bar sono aperti solo per chi fa i picchetti. Televisioni, giornali, porti, mercati, trasporti. Stop. Insomma, pare funzioni. E non sono neppure le 13.00. La vicina, su una terrazza più alta, interrompe la siesta al sole a cui tutto il cibo mangiato costringe anche il più forte degli stomaci. «Mira el humo que viene de la autopista.» L’amica le ricorda che oggi è huelga e staranno quindi bruciando qualche cosa per bloccare l’autostrada. Ostia, anche a Castellón de la Plana? Vince lo stile Leopardi, abbandonato allo scazzo e sconfitto dalla siepe: non mi alzo in direzione del fumo. Andiamo, ma non con gli stivali. Meglio suggerire l’utilizzo di scarpe da ginnastica, che se si devono correre i 100 metri sotto i lacrimogeni almeno lo si fa con il bel gesto atletico, di quelli che piacciono per la grazia del movimento, indipendentemente dal risultato. Ah si, prendere anche il Vermouth, 1 euro e 69 contro i 7 y pico del Martini, che senza una bevutina le manifestazioni-sfilata sono pallose. E quattro mandarini. E una bottiglia d’acqua. E la giacca per dopo. Lo zaino pesa, comprometterebbe il gesto atletico e neppure i 15 gradi del vino dolce aiuterebbero. La discesa dalla zona universitaria verso il centro è accompagnata da rapide biciclettate e dal garrire della bandiera catalana che scende con noi. Ah, regionalismi di cui non vergognarsi. Palazzi grandi, blocchi dove consumarsi la vita, costruiti nello stesso periodo dell’Università. Praticamente un terzo di Castellón è stato costruito in dieci anni. E si vede. Qualche km tempestato di 29 M Vaga General CNT sui muri, Huelga con una A cerchiata a lato, famiglie e orde di bambini nei parchi che potrebbe sembrare Castiglione delle Stiviere, d’estate e in mano ai turisti tedeschi, più che Castellón de la Plana, e siamo già in centro. Calle mayor, Calle de enmedio, e la Calle Alloza, detta dagli abitanti, ovviamente Calle de arriba. Che nomi del cazzo. Sfilata: uff. Consolazione: fare un giro per la città non è male, e vedere bandiere rosso-nere e nere sventolate in testa al corteo e non spinte in coda, apre a un sorriso sincero. I compagni stanno davanti, precedendo i sindacati di diverse decine di metri. Slogan anticapitalisti, attacchinaggio di manifesti, scribacchiate, sventolio di bandiere. Insulti alle banche e sistematica serrata a forza delle saracinesche dei negozi ancora aperti. Altrove si vede altro. Uh, una bandiera viola, le femministe! Chissà se sono cattive come le francesi. «No son las francesas, erano exactamente quelle de Grenoble a far paura. Y basta, smettila di guardare culos delle altre – sgamato – No, haz lo que quieras, tranquillo. Mira culos si te la pone dura.» Tanto mañana si torna al trabajo. O almeno chi l’ha ancora.   
Lledo Garcia