Adesso ammazzateci tutti

“Adesso ammazzateci tutti”. Uno striscione che suona come sfida e provocazione, ma anche come denuncia e rancore: nei confronti di chi ha ordito il piano della strage come di chi, prima ancora che lo scomodo cui prodest? sia stato mormorato, si getta a terra – il volto e il nome bene in vista, la voce altrettanto udibile dagli schermi e dai fogli – per invocare l’ennesimo slancio di unità nazionale, l’ennesima cura del paese, la ricostituzione di un corpo politico, quello nazionale, le cui lacerazioni sembrano contare ben più di quelle che affliggono le vittime di Brindisi. Abituati ormai a ricevere lacrime mediatiche in cambio di sciacallaggio economico, esortati a rinsaldarci proprio laddove qualcuno ha preteso escludersi decidendo chi dovesse vivere e chi no, non siamo più in grado di nascondere la nostra perplessità – se non il nostro disprezzo – nei confronti degli slogan rincuoranti, dei motti inneggianti all’accordo e alla coesione. Questo perché la repressione è soltanto una delle strade lecite percorribili per affogare il dissenso nella paura: l’altra prende il nome cristallino di pacificazione. Sotto quale egida quest’opera di pacificazione debba dispiegarsi, sotto la protezione di quale garante essa debba porsi, sono le diverse dichiarazioni ufficiali a suggerirlo. Come quella di Maria Falcone, secondo la quale “oggi lo Stato ha subito un duro colpo al cuore”, come se l’atto di ammazzare una ragazzina conducesse, senza alcuna soluzione di continuità, a colpire lo Stato – entità ipostatizzata nel sangue, a spese delle vite altrui – , come se, di converso, l’atto di colpire lo Stato dovesse necessariamente passare attraverso la morte di ragazzi qualunque. Inversione pericolosa che chiama alla repressione, che vede in ogni dissenso il germe dell’assassinio e del terrorismo. Non solo: inversione che abbassa ogni singolarità qualunque al rango di vittima designata, alla stregua di carne da macello, scudo eretto a difesa del cuore inaccessibile e sempiterno dello Stato. Del resto, mai alcuno Stato è stato colpito, e men che meno a morte, attraverso la morte di singolarità qualunque; al contrario, esso si è sempre sentito in dovere di trarre nuova linfa dall’evento, rinsaldarsi, rinvigorirsi, chiamare altro sangue e cementare con questo il nuovo patto e la nuova alleanza. In tutto questo – nella battaglia per la legittimità e per la coesione, nella corsa alla pacificazione, nel frastuono delle bombe, nei sedicenti attacchi allo Stato e nelle sedicenti risposte dei deliri polizieschi e giudiziari, securitari ma soprattutto comunitari – si attende ancora chi sappia porsi in ascolto dell’abisso che è stato irreparabilmente scavato quella mattina. Abisso che a tutto chiama fuorché la sua cancellazione.
Michail